Praticare un asana in fin dei conti è semplice. Bastano un corpo e uno spazio due metri per uno. Certo, se hai un tappetino il pavimento risulterà meno duro, se hai dei supporti le posture saranno più accessibili, ma tutto questo è accessorio.
Mi sono spesso sentita dire "Eh ma non ho spazio", "Non sono flessibile", "Non ho il tappetino giusto", ...
Muni e siddha, i primi praticanti di Hatha yoga, non avevano a disposizione tappetini antiscivolo, grandi shala con parquet schiarito o "feet up". Praticavano sulla nuda terra, in mezzo alla polvere, senza nulla addosso e non certo per un'ora ma ininterrottamente per ore e ore.
Se muoviamo il corpo e lo posizioniamo nello spazio prestando attenzione al respiro e nella sottrazione di quello spazio esterno ne creiamo all'interno, stiamo praticando asana ed è così
semplice.
Quello che facile non è, è stare nell'asana lasciando cadere lo sforzo, è mantenere la concentrazione su ciò che accade nella postura e permettere che la stessa non rimanga fine a se stessa ma si faccia mezzo.
Praticare asana equivale a praticare yoga?
Se ci approcciamo alla pratica da un punto di vista esclusivamente terapeutico per accrescere forza e vitalità, prevenire le malattie o per risvegliare le energie sottili e ci atteniamo all'evoluzione che lo yoga ha avuto in questi ultimi secoli, potremmo dire che le posture sono già yoga (yogasana).
<< Gli asana sono il primo gradino dell'Hatha Yoga e sono trattati per primi. Attraverso la loro pratica si ottiene stabilità nel corpo e nella mente; salute e flessibilità degli arti. >>
Hathayoga Pradipika, I.17
Ma se prendiamo come riferimento lo yoga di Patanjali, esso è un sistema decisamente più complesso che non si limita a un corpo che crea una forma volta unicamente a un miglioramento fisico.
In questo caso gli asana sono infatti il terzo piolo di una scala di otto e di quei gradini, se stiamo a guardare, rappresentano forse la parte più facile.
Affrontato da questa prospettiva, lo yoga è un cammino in salita, un percorso per impavidi che parte da come ci relazioniamo con noi stessi e con gli altri, che ci riporta a quell'azione intrinseca alla vita che troppo spesso trascuriamo, il respiro, e che ci conduce verso una realtà denudata dalle nostre credenze e convinzioni. Un cammino che ha come fine la libertà.
Così, citando Aurobindo,
<< Yoga significa entrare in uno stato di coscienza dove non si è più limitati dal piccolo ego, dalla mente personale, dal vitale personale e dal corpo, ma dove si è in unione col supremo Sé o con la coscienza universale. >>
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